Fase 2 | La difficile ripartenza dei commercianti: “L’ordinanza che ci impone la chiusura all’una è folle”

Catania; Intel

La ripartenza economica e sociale, dopo oltre due mesi di serrata causa Coronavirus, lasciava presagire – già nelle scorse settimane – difficoltà, tensioni, polemiche e recriminazioni che, dal 18 maggio in poi, non sono mancate. Se, da una parte, c’è chi addita la movida irresponsabile o gli atteggiamenti criticabili di alcuni giovani, dall’altro lato della barricata ci sono i commercianti, i titolari di attività ed imprese che traggono il loro sostentamento dalla vita notturna e che, in questo lungo periodo, hanno ovviamente registrato incassi pari a 0, a fronte di oberanti spese fisse. La riapertura, quindi, può essere considerata come una boccata d’ossigeno, sebbene paletti e limitazioni posti dal governo, dai presidenti di regione e dai sindaci, risultino spesso troppo stringenti per alcune particolari categorie. Una vicenda emblematica, da questo punto di vista, è quella di Giovanni Coppola, titolare di un pub nel centro storico di Catania, che nella notte tra Sabato e Domenica, ha ricevuto un provvedimento di sospensione dell’attività per cinque giorni, dal momento che il locale di cui è gestore era ancora aperto alle ore 1:30, ovvero mezz’ora dopo il “coprifuoco” stabilito da un’ordinanza sindacale che recepisce le indicazioni governative:

 

“Vorrei capire chi ha pensato queste folle restrizioni, attacca Coppola, io faccio ristorazione dal 1983 e so per certo che, se decidi di imporre ai pub la chiusura all’una, significa che non sei mai stato in un locale, nemmeno per bere una birra. Il pub inizia a lavorare davvero a mezzanotte, e mi pare una follia farlo chiudere un’ora dopo. Se un’attività come questa viene ritenuta pericolosa per la salute, tanto vale tenerla chiusa. In questo caso, però, lo Stato deve intervenire, nè con i 600 euro né con la fantomatica potenza di fuoco raccontata dalla narrazione del Presidente Conte, ma con aiuti concreti: intervenire negli affitti dei locali, nelle utenze, nelle tasse, ma anche nella stessa sopravvivenza del gestore di pub. Il governo tutto questo non lo fa, forse perché non ha i fondi. Imporre certe restrizioni è una sentenza di morte per molte attività. L’ordinanza che ci impone la chiusura all’una è una follia“.

Cosa è successo la notte di Sabato? Dopo tre mesi nei quali non si lavorava e in virtù dei ritmi di un pub, alle ore 1:30 non avevo ancora chiuso. Vero, ho trasgredito questa regola” ammette Giovanni Coppola. “Una disposizione assurda a cui bisogna opporsi cercando una soluzione diversa. Comunque, sono venute le Forze dell’Ordine, con una rigidità prussiana ed un atteggiamento da polizia orwelliana. Hanno innanzitutto identificato le persone che erano davanti al mio locale, anche semplici passanti. Successivamente mi hanno multato ed hanno disposto la chiusura dell’attività per cinque giorni“.

“Secondo me tutto questo non va… Ieri pomeriggio, camminando ho visto cinque posti di blocco. Una cosa indescrivibile: vorrei capire, in questo momento, contro chi sta guerreggiando lo Stato. Se il pub o la movida rappresentano un rischio per la sopravvivenza della specie umana, pur osservando alla lettera tutte le disposizioni sulla sicurezza e prevenzione dal contagio, lo si dica chiaramente –aggiunge Coppola – ma si diano anche gli aiuti concreti. Si aiuti chi, prima del Covid 19, ha avuto la sventura di aprire un pub, un ristorante, una pizzeria. In caso contrario è certo che nessuno se ne starà con le mani in mano, a vedere la fine dei propri figli, che hanno lo stesso diritto di vivere dei figli di impiegati pubblici, forze di polizia, medici. Non hanno meno diritti perché sono figli di un titolare di pub, se c’è l’intenzione di creare categorie sociali lo dicano”.

Giovanni Coppola è un fiume in piena e, proseguendo nella sua riflessione, aggiunge: “Ho un’immagine davanti agli occhi, che richiama la cosiddetta gig economy. Il cibo arriva a casa di una persona che da lì non si deve muovere, perché ha il cinema in casa e cose simili. Questo, secondo me, è il nuovo mondo che qualcuno vuole creare. Si vuole annientare l’uomo, nella sua vera essenza“.

“Come conciliare le norme anti contagio con la necessità di lavorare? In tutta questa situazione mancano le idee, la chiarezza e la lucidità, cioè tre cose che dovrebbero servire per farci tornare alla normalità. Invece ci si affida a persone che, pur essendo plurilaureate e plurititolate, non hanno alcuna aderenza con la realtà. Vedo la gente disorientata, priva di linee guida che possano davvero risolvere il problema. Il confronto con le categorie non ha funzionato? Esatto, perché non si può far trattare la ristorazione a chi non l’ha mai fatta. Le associazioni di categoria non hanno operato e non stanno operando bene. Non serve la manifestazione di piazza. Devono capire che non bisogna operare solo nell’emergenza, che il loro compito è quello di rappresentare le esigenze dei ristoratori”.

Le difficoltà della ripartenza? Sono tantissime, noi stiamo incassando il 40% di quanto incassavamo prima della crisi Coronavirus… E con questo 40% dobbiamo fare quello che facevamo prima. Ma non riusciamo a farlo, assolutamente. Perché il prezzo degli affitti è rimasto invariato, perché questo mese ho dovuto pagare 90 euro di bolletta alla società di energia elettrica nonostante un consumo pari a 0. Dobbiamo parlare di questo, il resto è aria fritta. Si deve intervenire nei costi di gestione, nelle spese fisse. Solo così, con un piano serio ed elaborato, si permetterebbe la continuazione dell’attività e un graduale ritorno alla normalità.

C’è il rischio di un’estrema tensione sociale? Penso che la nostra società stia cambiando – conclude il commerciante – quando la gente comincia a non riuscire a saziare la propria fame per mancanza di fondi c’è una naturale reazione difensiva. Ecco, su questo io sono davvero preoccupato, siamo vicini ad un crollo economico e sociale. In tanti, in questo momento, stanno avendo difficoltà a mettere insieme pranzo e cena, domani avranno difficoltà anche a fare un solo pasto”.

 

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