Commissione antimafia Sicilia su beni confiscati: “Il destino dell’Agenzia va ripensato”

Approvata dalla Commissione antimafia dell’Assemblea Regionale Siciliana la relazione conclusiva sui beni sequestrati e confiscati alla mafia in Sicilia. Il lavoro d’indagine è durato 8 mesi, sono andate in scena 71 audizioni e 51 sedute parlamentari.

La relazione di 191 pagine è stata presentata in videoconferenza dal relatore Claudio Fava.

Nel documento è possibile leggere che il bilancio emerso “plasticamente dai consuntivi sull’attività svolta (pur con alcuni miglioramenti, nel corso del tempo, della performance gestionale): un altissimo tasso di mortalità delle aziende confiscate; la perdita di centinaia di posti di lavoro; episodici i casi di beni proficuamente affidati agli enti locali o ai soggetti del terzo settore a fronte di centinaia di immobili abbandonati, vandalizzati o, peggio, del tutto dimenticati; decine di terreni, strutture agricole, ville e appartamenti che continuano ad essere impunemente utilizzati ed abitati da coloro ai quali furono confiscati (con un danno economico e d’immagine, per lo Stato, di incalcolabile gravità). Di questo bilancio la Sicilia è la sintesi più dolente. Perché è qui, nell’isola, che sono allocate la maggior parte delle aziende e dei beni immobili sottratti all’economia mafiosa. Ed è anzitutto qui, in Sicilia, che sul destino finale di questi beni (recupero o fallimento; rilancio o definivo sabotaggio) si gioca la partita più difficile. Attendere concorsi che non si svolgono per completare la pianta organica (e nel frattempo, come ci è stato detto, riempirla con funzionari ‘comandati’, spesso solo per poter ottenere un trasferimento verso città più gradite) richiama precise responsabilità di governo (di tutti i governi!). Assumere la lotta alle mafie come priorità ma poi continuare a destinare all’Agenzia, che è il motore propulsivo di questa legge ed uno strumento fondamentale nella strategia di valorizzazione degli assets confiscati, pochi uomini, pochi mezzi, poche professionalità e poca attenzione è una scelta politica miope e incomprensibile. Ritenere che la guida dell’Agenzia debba essere sempre e solo demandata a un prefetto, rinunziando alla possibilità di trovare profili professionali più ritagliati sulle urgenze e gli obiettivi che la legge affida all’Anbsc, è una prassi politica inadeguata alle sfide in campo e peraltro contrasta con lo spirito della riforma del 2017 che ha innovato sul punto prevedendo la possibilità di nominare il direttore anche tra magistrati o dirigenti dell’Agenzia del demanio”.

Il presidente della Commissione dell’ARS, Claudio Fava, ha fornito delle spiegazioni rispetto a quanto emerso nell’ultimo periodo. “Il rischio è che lo Stato, e con lui l’intera comunità nazionale, perda la sfida lanciata alla mafia da Pio La Torre e Virginio Rognoni con la legge che porta il loro nome: i numeri sono impietosi e parlano di un tasso altissimo di mortalità delle aziende confiscate e una percentuale ancora insufficiente di riuso dei beni immobili confiscati. Le testimonianze raccolte, i dati analizzati, gli approfondimenti svolti da questa Commissione non lasciano dubbi: la disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende, subito, un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino ad ora non c’è stato. La sensazione è che la norma, nella sua limpida astrattezza, abbia rappresentato l’alibi per troppi: siccome questo dice (o tace) la legge, dunque solo questo è ciò che ci compete fare. Il destino dell’Agenzia va ripensato. In punta di fatto, non solo di diritto”.

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