Un’imponente operazione coordinata tra la Divisione Anticrimine della polizia piacentina e il Servizio Centrale Anticrimine (Sca) ha portato alla luce un intricato scenario di illegalità durato vent’anni, attribuito all’imprenditore 57enne Vincenzo Longhitano, originario di Catania e da tempo radicato nel territorio piacentino.
Secondo quanto riferito dalla questura, grazie a un lavoro investigativo approfondito, il Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione di Bologna, su proposta del questore di Piacenza, ha emesso un decreto di sequestro preventivo su un vasto patrimonio ritenuto di provenienza illecita. La confiscation ha coinvolto la totalità delle quote e l’intero complesso aziendale di 14 società, con sedi anche all’estero in Svezia e Bulgaria, 32 immobili tra fabbricati e terreni, 110 veicoli tra automezzi e rimorchi, e molteplici rapporti finanziari, per un valore approssimativo di 12 milioni di euro.
L’azione di esecuzione del decreto ha coinvolto diverse città, tra cui Piacenza, Milano, Pavia, Cremona, Catania, Messina e Trapani, e ha richiesto l’impegno di cento uomini. Il questore Ivo Morelli ha commentato l’operazione definendola “una bellissima operazione che colpisce direttamente il tessuto della comunità, un sforzo significativo volto a contrastare l’acquisizione illecita di beni, impedendo a familiari e altri complici di beneficiarne”.
Le radici dell’imprenditore, attualmente irreperibile, sono state dettagliatamente delineate durante un’illustrazione tenutasi il 12 dicembre da parte del questore Morelli, di Angelo Di Legge dell’Anticrimine e di Elvio Barbati del Servizio Centrale Anticrimine. Questi hanno rivelato come Longhitano, partendo da una modesta attività individuale, sia riuscito a costruire un vasto impero economico e finanziario, operando in settori quali il trasporto su gomma, la logistica, i servizi alle imprese, la ristorazione, gli spettacoli “a luci rosse”, l’allevamento di cavalli e l’immobiliare, per un valore che sembrava sproporzionato rispetto alle sue dichiarazioni fiscali.
Le indagini hanno svelato un intricato sistema di frode tra il 2008 e il 2015, attraverso l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, stimando l’importo totale di questa frode intorno ai 200 milioni di euro. Si è scoperto inoltre un utilizzo distorto dei conti correnti societari, per un totale di circa 5 milioni di euro tra il 2013 e il 2019, finalizzato a investimenti immobiliari e societari.
Tuttavia, l’indagine ha rivelato anche un lato oscuro legato all’immigrazione clandestina, sottolineando un sistema organizzato finalizzato a favorire l’ingresso illegale e lo sfruttamento di cittadini stranieri, con false certificazioni professionali e condizioni di lavoro disumane. Questi individui, in cambio di somme di denaro considerevoli, venivano impiegati nelle aziende dell’imprenditore, sottoposti a turni di lavoro estenuanti e alloggiati in condizioni igienico-sanitarie pessime.
Il 57enne imprenditore, già condannato in passato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, è attualmente irreperibile, sfuggendo all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa nell’ambito dell’operazione Hermes nel novembre 2022.