La serrata imposta dal diffondersi del contagio da Coronavirus avrà, inevitabilmente, serie ed importanti conseguenze sul tessuto economico della nostra nazione. Le stime sui numeri della crisi post emergenza sanitaria, infatti, raccontano di una situazione potenzialmente drammatica, che coinvoglerà imprese, lavoratori autonomi e dipendenti, famiglie. I dati più rilevanti, da questo punto di vista, sono quelli che emergono dall’ultimo rapporto Svimez.
Lo studio, condotto dagli economisti Salvatore Parlato, Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso, coordinati dal Direttore Luca Bianchi, evidenzia dati che fanno riflettere e che preoccupano. Lo stop alle attività produttive e lavorative, infatti, costa all’Italia 47 miliardi al mese, determinando una contrazione del PIL dell’8.4% sull’intero territorio nazionale (-8,5% al Centro – Nord, -7% al Sud). La perdita procapite, inoltre, si attesterebbe su una media nazionale di 788 euro (951 al Centro – Nord, 473 al Sud). Altro dato rilevante sottolineato dallo Svimez è quello che riguarda i lavoratori indipendenti e le partite Iva, ovvero quelli che stanno accusando e accuseranno maggiormente le nefaste conseguenze di questa crisi, senza dimenticare poi i lavoratori privati dipendenti (come i domestici) o i lavoratori a termine che, essendo inoccupati al 23 febbraio pur avendo lavorato in passato, sono totalmente esclusi dai provvedimenti governativi. Provvedimenti giudicati, comunque, ancora troppo blandi e sostanzialmente inadeguati a reggere l’urto della futura recessione.
L’analisi dei dati Svimez porta a riflettere sulla situazione del Mezzogiorno d’Italia, il quale, soprattutto in ragione delle sue specificità e dei suoi atavici mali, rischia davvero di finire al tappeto. L’emergenza Coronavirus, infatti, si inserisce in un generale contesto di crisi e recessione, risultato evidente soprattutto nel 2019. Ragion per cui, proprio il Meridione, si delinea come la macroarea più colpita dalla fase immediatamente successiva a quella dell’emergenza sanitaria, sia per la diversa natura e articolazione del lavoro, sia per la piaga del lavoro nero che, di fatto, esclude dall’accesso agli ammortizzatori sociali un gran numero di cittadini e famiglie. Bisognerà, dunque, intervenire con decisione e risolutezza, soprattutto per bloccare sul nascere il rischio che la criminalità organizzata possa trovare terreno fertile in questa drammatica situazione. L’intervento delle istituzioni dovrà, ovviamente, essere unanime, dagli enti locali fino a quelli comunitari ed europei.
La crisi, d’altra parte, potrebbe paradossalmente rappresentare un incentivo, diventare un’opportunità di mutazione e rilancio, specie per le imprese del Sud. Affinchè questo avvenga, però, è neccessario che tutti gli attori in scena facciano la loro parte: lo stato sarà chiamato a potenziare il comparto e l’indotto che ruota attorno alle industrie, gli imprenditori avranno, invece, la responsabilità di varare un nuovo modo di fare impresa, anche attraverso una differente e migliore gestione finanziaria. L’aspetto più rilevante e quello che preoccupa maggiormente è, a ragion veduta, l’immediato, il periodo che si innaugurerà quando l’Italia cercherà un ritorno alla normalità. Servirà il sostegno delle istituzioni, saranno indispensabili gli incentivi volti ad accompagnare la ripartenza e la ripresa. Interventi risoluti, insomma, che dovranno tener conto delle specificità della nostra Nazione, ovvero delle differenze esistenti tra Nord e Sud.
Se il Mezzogiorno, infatti, non ha accusato una grave e drammatica emergenza sanitaria, rischia di uscire con le ossa rotte dalla crisi economica, dalla fase di recessione che, secondo lo Svimez, durerà a lungo: potrebbero passare addirittura due anni prima di un ritorno sui livelli economici e produttivi di gennaio 2020. Si prospetta, quindi, una vera e propria marcia nel deserto, nei confronti della quale non ci si potrà permettere di farsi trovare impreparati.