Tra le questioni che tengono banco in questi giorni, scanditi dal dibattito pubblico e dal lavoro governativo per avviare la Fase 2, la più spinosa e controversa è, senza dubbio, quella dell’App Immuni, ovvero l’applicazione per cellulari che dovrebbe essere usata quale strumento per gestire e controllare il graduale “ritorno alla normalità”, ed evitare dunque un ritorno dei contagi.
Ma come funziona la tanto discussa applicazione? Sulla base delle indicazioni a disposizione, derivanti soprattutto da quei paesi che l’hanno già adottata, il sistema ruoterebbe attorno al tracciamento, alla registrazione degli spostamenti di quei cittadini che la scaricano. Non appena l’utente inizierà ad utilizzarla, l’App Immuni, genererà un codice a questo associato, che permetterà di verificare se, nei suoi spostamenti, è entrato in contatto con soggetti che possano trasmettergli il virus. Qualora dovesse verificarsi il sospetto di contagio, i presunti nuovi positivi, sarebbero poi monitorati, anche tramite l’invio di personale medico presso la propria abitazione, per evitare che diventino a loro volta “untori”. Fin qui i concetti base che garantirebbero il funzionamento del sistema, il quale dovrà necessariamente reggersi su un meccanismo ben preciso, su un architrave burocratico che permetta la messa in pratica. Un apparato davvero complesso, che deve ancora essere costruito.
Il punto cardine del dibattito, però, è chiaramente un altro. Al di là dell’aspetto meramente pratico, preoccupano e destano attenzione gli innegabili limiti e i potenziali rischi di un sistema simile. Esponenti governativi hanno più volte affermato che l’App Immuni non sarà obbligatoria, e che ogni cittadino potrà volontariamente decidere se scaricarla o meno. Principio giusto e legittimo, che fa sorgere però vari quesiti: quanto potrà essere efficace, tale applicazione, nell’ipotesi che la risposta degli italiani sia timida? Che siano davvero in pochi a scaricarla ed utilizzarla? Questioni che sono proprie, naturalmente, di uno stato e di un sistema democratico, dove imposizioni come questa sono e sarebbero impossibili. L’esecutivo, molto probabilmente, incoraggerà la sua utilizzazione, ma il dubbio sull’efficacia rimane inalterato. Siamo davvero sicuri che l’App Immuni sia lo strumento migliore per evitare una nuova ondata di contagi? Che sia il Deus ex machina in grado di risolvere la difficile gestione della Fase 2? Senza dimenticare, poi, che il rispetto della libertà di scelta andrà verificato all’atto pratico. Ci si chiede, inoltre, per quale motivo usare un applicazione multimediale che, di fatto, impone il possesso di un cellulare di ultima generazione, cosa che, volente o nolente, esclude a priori una fetta di popolazione. E gli anziani, ovvero i soggetti più deboli ed esposti alle nefaste conseguenze del Covid-19? Per loro ci sarebbero i braccialetti elettronici, gli stessi riservati a soggetti sottoposti agli arresti domiciliari o in libertà vigilita…. E su questo punto sarebbe davvero superfluo aggiungere ulteriori commenti.
Dicevamo, però, che sono tanti i limiti e le perplessità circa l’applicazione, il suo utilizzo, il suo funzionamento ed i potenziali rischi futuri che potrebbe determinare, anche alla luce dell’indirizzo normativo, sociale e culturale che sta intraprendendo la civiltà mondiale. Il tracciamento degli spostamenti, infatti, sebbene determinato dalla tutela della salute pubblica, pone seri dubbi sul rispetto della riservatezza, principio, almeno in via teorica, tanto caro alle istituzioni, visto anche il recente intervento legislativo dell’Unione Europea. I dati raccolti saranno fruibili soltanto dai governi e dalle istituzioni sanitarie? Per quanto tempo saranno archiviati ed immagazzinati nel sistema? Domande che esigono risposte precise e circostanziate, affinchè l’attuale emergenza sanitaria non venga usata da cavallo di Troia, non diventi la scusante per attuare metodi di controllo e repressione senza scadenza. Ricordiamo, inoltre, che le attuali misure messe in pratica dal governo per affrontare questa difficile fase, dalla famosa autocertificazione fino al meccanismo dei DPCM, sono oggetto di discussione e dibattito, ed hanno determinato perplessità in stimati giuristi e costituzionalisti. Questioni che dovranno, inevitabilmente, essere affrontate in futuro, in modo da chiarire in maniera definitiva qual è e quale potrebbe essere il raggio d’azione di un esecutivo in situazioni simili.
Dicevamo, però, che il dibattito sull’App Immuni tira in ballo anche scenari futuri e si lega, indissolubilmente, all’indirizzo che stati e governi sembrano voler seguire. Immaginare un futuro in cui ogni pagamento, anche il più semplice, sia consentito soltanto con carte di credito, dove il monitoraggio degli spostamenti diventi prassi comune, magari in ragione di un’emergenza sanitaria latente e permanente, visto il rischio costante di nuovi virus o epidemie, non sembra affatto peregrino. Scenari distopici e orwelliani, che mettono i brividi, che attualizzano e rendono più reale che mai la società dipinta dallo scrittore inglese nel celeberrimo “1984″. Il rischio, corroborato da una tecnologia disumanizzante, di una “dittatura silente” ben più efficace e paurosa dei regimi totalitari del Novecento, troppo spesso evocati a sproposito e per meri interessi propagandistici, bussa alla porta, richiamandoci alla massima attenzione. Perchè, sebbene possa suonare come assurdo ed impossibile a noi uomini e donne del XXI secolo, il Grande Fratello è sempre in agguato, pronto a ricordarci che siamo costantemente sotto il suo sguardo vigile a cui nulla sfugge.