Nell’Italia che affronta, con difficoltà e preoccupazione per il futuro, la Fase II dell’emergenza Coronavirus, viene scritta una storia che mette in discussione principi, valori, idee facenti parte del patrimonio comune della nostra Nazione, della sua civiltà dalle origini millenarie. La storia è quella di Dario Musso: andiamo con ordine e ripercorriamo le tappe di questa vicenda.
Tutto inizia sabato 2 maggio quando Dario Musso, 33ene di Ravanusa (AG), percorre le strade del suo paese alla guida di un’automobile e, armato di megafono, inscena una protesta, grida il suo dissenso verso le misure restrittive adottate contro la diffusione del Covid-19. Il giovane, infatti, sostiene che “la pandemia non esiste”, ed invita i suoi concittadini a togliere la mascherina, tornare nei locali e nei negozi, paventando inoltre una protesta nelle sedi istituzionali di Roma. Opinini certamente contestabili, non condivisibili, condannabili e financo censurabili in quanto tali, ma appunto opinioni, libera espressione del pensiero. Dopo questa protesta l’auto di Dario viene circondata dalle Forze dell’Ordine che lo fanno scendere per perquisirlo prima e sopraffarlo poi. Immediatamente, tre operatori sanitari presenti sul posto, provvedono a sedarlo. La mossa successiva è un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio), richiesto dall’autorità sanitaria e a quanto pare approvato successivamente dal sindaco della cittadina agrigentina Carmelo D’Angelo.
Il TSO, nel nostro paese è regolato dagli articoli 33 – 34 e 35 della legge 833/1978 che prevedono, innanzitutto il rispetto dell’articolo 32 della Costituzione Italiana:
“La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Sono poi molteplici i paletti e le tutele stabiliti dal legislatore per applicare un simile provvedimento, il quale non può certamente essere preso a cuor leggero e che deve funzionare secondo un rigido protocollo. Protocollo che, ad esempio, prevede la convalida dello stesso TSO entro 48 ore da parte del giudice cautelare.
Una precisa normativa, insomma, che nella triste vicenda di Dario Musso va capito se è stata rispettata appieno oppure no. A stridere è, innanzitutto, la stessa procedura che ha portato al TSO. Come attesta la documentazione ufficiale, diffusa dall’avvocato Francesco Catania, il trattamento è stato richiesto con uno scarno prestampato, che certificava lo “scompenso psichico con agitazione psicomotoria”. Il primo cittadino Carmelo D’Angelo, recependo questa proposta, avrebbe poi dato il via libera al TSO nei confronti del giovane.
Dario Musso viene trasferito immeditamente presso il reparto psichiatrico dell’ospedale di Canicattì. Durante la degenza il 33enne sarebbe stato legato mani e piedi al letto, alimentato dal personale infermieristico, e sottoposto alla somministrazione coatta di psicofarmaci. Ai suoi familiari, e in particolare al fratello ed avvocato Lillo Massimiliano, secondo quanto raccontato dallo stesso, non è stato permesso per diversi giorni di mettersi in contatto con lui, sia di presenza che telefonicamente, in aperto e stridente contrasto con quanto stabilito nel 5° comma dell’articolo 34 della legge citata sopra, che recita: “Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio l’infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno”. Dopo giorni di insistenza, il fratello e legale, è riuscito ad avere una breve conversazione telefonica con Dario. La registrazione testimonia in maniera evidente lo stato di sofferenza e prostrazione del 33enne che, lo scorso 9 maggio, ha fatto finalmente ritorno a casa allo scadere dei sette giorni del TSO. Ci sarebbe un altro gravissimo risvolto, che rendebbe ancora più inaccettabile questa vicenda. Il giudice cautelare, infatti, pare non abbia confermato la validità del trattamento, come avrebbe dovuto a fare a norma di legge nelle 48 ore successive al tristemente noto 2 maggio. Al di là di tutte le legittime considerazioni sulla regolarità e sull’opportunità di disporre un simile provvedimento, unite a quelle sul modo in cui lo stesso è stato portato avanti, la mancata ratifica dell’autorità giudiziaria porrebbe una pietra tombale sulla regolarità degli avvenimenti.
La Procura di Agrigento, è notizia di queste ore, ha aperto un fascicolo a carico d’ignoti e ha disposto l’acquisizione dei documenti dei Carabinieri. Significativo anche l’intervento del Garante nazionale delle persone private della libertà il quale, attraverso una nota, ha chiesto una relazione d’informazione al sindaco e alle autorità sanitarie, relativamente alle modalità di attuazione e al successivo sviluppo di tale trattamento.
Adesso, come dicevamo, Dario Musso è tornato a casa, e ci auguriamo che possa riprendersi presto e superare la choc subito. La sua storia, però non può passare inosservata, non deve essere dimenticata nè messa a tacere. Chi ha sbaglitato, chi ha commesso atti illegali e contrari ad ogni più elementare norma di civiltà, dovrà assumersene le responsabilità. C’è poi una considerazione di carattere generale, che riguarda quanto è accaduto in questi due mesi anonamali nel nostro Paese, tanti piccoli e grandi episodi macchiati da ombre e sospetti. Si è detto e si è scritto che, dopo la pandemia, l’Italia sarebbe stata un posto migliore… La realtà, però, ci racconta tutta un’altra storia e sembra indicarci un futuro ben peggiore rispetto al tanto vituperato passato pre virus. La sensazione è che l’Italia non ne uscirà migliore, anzi… Per una volta speriamo di sbagliarci.