É un clima pesante quello che si respira attorno al Calcio Catania che a quasi un anno di distanza dall’incubo del fallimento, si trova nuovamente sull’orlo del baratro. Ancora una volta, nell’arco di dodici mesi, la vita del sodalizio rossazzurro è appesa ad un filo.
L’attuale proprietà, come ha certificato la conferenza stampa di ieri, sembra ormai giunta al capolinea, senza la forza e la capacità di andare a lungo avanti da sola. Ci sono scadenze imminenti, ci sono obblighi da assolvere per garantire un futuro al Catania mentre il tempo stringe. Tornare indietro non si può, se non per evidenziare errori, mancanze, valutazioni errate. Si è detto che l’infinita trattativa con Tacopina, durata oltre sette mesi, rischia oggi di pesare come un macigno. Una trattativa che, per usare un eufemismo, è stata gestita in modo del tutto rivedibile, da tutte le parti in gioco. Ci sono uomini, professionisti, imprenditori, addetti ai lavori che – in questa vicenda – hanno assunto su di sé delle responsabilità.
Lo “scaricabarile”, le accuse reciproche e le rivendicazioni non possono più trovare spazio, ne hanno trovato fin troppo in questi mesi. Basta con gli annunci, con la guerra di comunicati, con l’eccesivo ottimismo e con le passerelle mediatiche. Restano poco più di 20 giorni, una corsa contro il tempo per salvare il Catania. Sì, perché lo si diceva un anno fa e lo si deve dire ancora: il Calcio Catania 1946 non è una semplice squadra di calcio, non lo è mai stata. La parola d’ordine è rimboccarsi le maniche, impegnarsi senza sosta e senza distinguo per un unico obiettivo. C’è ancora uno spiraglio di luce, che non deve essere smorzato. Perché la posta in palio è troppo alta, perché si deve salvare un patrimonio cittadino.