Cesarò, il Comune nega il secondo capannone a Bacco: l’azienda corre ai ripari e cerca soluzioni

Non arrivano buone notizie per l’imprenditoria siciliana. Secondo l’indiscrezione, giunta ai colleghi del quotidiano “La Sicilia”, l’azienda Bacco dovrà lasciare il secondo capannone, utilizzato per produrre delizie al pistacchio, collocato in quel di Cesarò, un paese dei Nebrodi nel messinese. Tale comunicazione sarebbe giunta verbalmente ai legali dell’impresa da parte del sindaco Salvatore Calì. Una vicenda che pare incredibile anche allo stesso titolare di Bacco, Claudio Luca, proprio per come è avvenuta. L’imprenditore incredulo e sbalordito spiega, ai microfoni de “La Sicilia” i paradossali fatti accaduti tra l’azienda e il Comune.

Da anni ho deciso di spostare la mia impresa da Bronte a Cesarò al fine di ampliare la produzione considerando il successo registrato. Eravamo consapevoli che nel paese dei Nebrodi c’era una piccola area artigianale, composta da tre capannoni ma mai stata attivata. Così ai tempi abbiamo chiesto in affitto uno dei tre capannoni e partì la nostra avventura a Cesarò.

Negli anni successivi, vista la crescita della nostra azienda, chiedemmo un altro capannone e anche in questo caso domandammo un affitto ventennale per poter fare gli investimenti necessari sulla struttura. A noi è stato assicurato che il contratto sarebbe arrivato e che nel frattempo potevamo usufruire del capannone. In questa maniera è andata. Noi abbiamo aspettato, ovviamente, sollecitando con sei dichiarazioni di interesse di avere quel contratto ventennale che non è mai arrivato. Nonostante il massiccio investimento fatto e nonostante la continua crescita di fatturato dell’azienda.

Abbiamo, così, fatto lavorare decine di imprese locali per le ristrutturazioni dei capannoni che erano in uno stato di totale abbandono ed eravamo arrivati ad avere 52 dipendenti, molti dei quali locali e tantissimi occupati stagionali. Sino ad oggi abbiamo atteso che l’amministrazione siglasse quell’accordo o quantomeno che ci spiegasse il motivo di tutto quel prendere tempo ma invece niente. Stamattina, però, ci è stato comunicato che entro il 31 dicembre dobbiamo liberare il capannone e restituirlo al Comune e poi si vedrà, ci hanno detto. Poi? Ma quando poi e cosa si vedrà? Noi nel frattempo dobbiamo affrontare questa corsa contro il tempo, questi disagi e spostare, non so dove, gli impianti. Ma ciò che mi chiedo, adesso cosa dovrei fare dei dipendenti che, inesorabilmente, non avranno più cosa fare in una struttura dimezzata negli spazi operativi produttivi. Cosa faccio? Dovrei mandare a casa dei lavoratori che fanno un ottimo lavoro perché senza una ragione ci è stata tolta un’area produttiva? Ma come si fa? Dovrei tagliare la produzione perché non ci sono gli spazi per rispettare le richieste che crescono. Ma questa non è una follia in una terra che chiede lavoro e prospettive per i propri giovani costretti a emigrare? Dovrei pensare ad andare via, magari in Slovenia o in qualche altro Paese in cui ci renderebbero la vita facile pur di avere un’impresa che funziona?”.

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