Covid, restrizioni e sussidi: il ruolo centrale della politica

L’emanazione del nuovo DPCM Conte, che ha diviso l’Italia in tre zone a seconda della situazione epidemiologica, ha scatenato numerose polemiche politiche, mettendo nuovamente di fronte governo e regioni. Sul banco degli imputati sono finiti gli ormai famosi 21 parametri, ovvero quei criteri stabiliti dal Cts che hanno fatto da “pezza d’appoggio” per stabilire in quale zona collocare questo o quel territorio.
Al di là dello scontro nell’agone politico e delle accuse reciproche, però, sorgono numerosi dubbi circa le scelte dell’esecutivo e circa le regole stabilite dall’ultimo decreto che, come spesso accaduto in questi mesi, appaiono contraddittorie e confuse. Tutto ciò determina una difficile ricezione per il cittadino ma anche per chi, vedasi le Forze dell’Ordine, è chiamato a far rispettare determinate norme.
Ci si chiede, ad esempio, quale discrimine abbia permesso di lasciare aperti parrucchieri e barbieri chiudendo, invece, i centri estetici. Legittimo, inoltre, interrogarsi sul perché strutture alberghiere e ricettive continuino a svolgere le attività in regioni “arancioni” o “rosse”, che sono sostanzialmente blindate dall’arrivo di turisti o visitatori di altra natura. Aprire a vuoto, in questo caso, può risultare più dannoso che chiudere beneficiando di adeguati e puntuali indennizzi. Il capitolo ristorazione, poi, porta con sé mille domande ed infiniti dubbi sulla ratio che ha determinato le scelte del governo.
Le ultime disposizioni, ad esempio, hanno stabilito la chiusura di bar e ristoranti nelle aree rosse ed arancioni (consentendo asporto e domicilio), ed hanno confermato la chiusura alle 18 in quelle gialle. L’apertura a pranzo è, quindi, consentita, mentre è bandita quella a cena perché, dicono da Palazzo Chigi, proprio nelle ore serali si creano i maggiori rischi di assembramenti. La situazione che si viene a creare, però, è francamente paradossale: lo stesso locale che, seguendo le norme sul distanziamento, può ospitare un certo numero di clienti alle 13 non può fare lo stesso alle 20. Non sarebbe stato più logico e funzionale alla difesa di queste attività commerciali, stabilire (magari in funzione della grandezza dei luoghi) un numero massimo di avventori, imporre il meccanismo della prenotazione e consentire l’apertura serale? Una scelta, quella che ci siamo permessi di suggerire, che avrebbe potuto rappresentare una boccata d’ossigeno per centinaia di imprenditori attivi nel settore…. Imprenditori che, in virtù del gran numero di persone che lavorano da casa, hanno subito notevoli riduzioni nella clientela “da pausa pranzo”.
Altro tema scottante, poi, quello del discrimine adottato per definire quale attività sia indispensabile e quale no… Valutazioni certamente difficili, nessuno può negarlo, ma anche in questo caso sono numerose le recriminazioni e le perplessità. Sono dunque più che mai indispensabili, alla luce di quanto abbiamo scritto, dei ristori che possano compensare le perdite determinate dalle restrizioni, che arrivino in tempi ragionevoli e che possano “coprire” anche l’indotto creato dalle varie attività sottoposte a chiusura/limitazioni. Anche il cosiddetto Decreto ristori bis, tuttavia, lascia senza sussidi interi settori, che reclamano con forza i loro diritti. Non sono pochi, inoltre, quegli imprenditori che gestiscono diverse attività associate ad una sola partita Iva e che, con un singolo sussidio (sia esso da 600, 800 o 1000 euro) devono coprire tutte le falle.

Il periodo è difficile e, spiace rilevarlo, lo sarà sempre di più con il trascorrere dei mesi… Ragion per cui cittadini e categorie produttive chiedono – comprensibilmente – concretezza, lungimiranza e serietà alle istituzioni tutte, siano esse locali o nazionali… Doveri che, fino a questo momento, sono stati puntualmente disattesi: occorre dunque invertire decisamente la rotta altrimenti gli appelli al buon senso, le rassicurazioni, le scintillanti promesse e financo certi toni paternalistici, cadranno inevitabilmente nel vuoto.

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