Usa, non solo Trump e Biden: il caos di Washington è il simbolo di una crisi profonda

Washington

É stata una giornata di ordinaria follia quella vissuta il 6 gennaio, data destinata ad entrare nella storia, a Washington e precisamente a Capitol Hill, centro nevralgico della democrazia statunitense, che ospita il Campidoglio (sede dei due rami parlamentari) e la Corte Suprema.

Da una parte il parlamento riunito in seduta comune, chiamato a certificare l’elezione di Joe Biden, dall’altra il Presidente uscente Donald Trump e i suoi sostenitori, chiamati a raccolta per protestare contro i presunti brogli elettorali che avrebbero permesso l’affermazione del candidato democratico. La situazione è degenerata nel primo pomeriggio, quando la frangia più oltranzista dei manifestanti ha fatto irruzione nel Campidoglio, occupandolo e determinando l’interruzione dei lavori.

La seduta è poi ripresa nella notte, quando era scattato il coprifuoco e quando i manifestanti – anche in seguito al messaggio di Trump – stavano sfollando. L’affermazione di Biden, nuovo presidente degli Stati Uniti, è stata dunque ratificata. La giornata di ieri, d’altra parte, è stata anche quella di primi segnali di distensione.

Il presidente uscente, infatti, ha riconosciuto l’arrivo di “una nuova amministrazione” e si è impegnato ad “assicurare una transizione ordinata e senza problemi”. Da segnalare, inoltre, l’invito a “mitigare gli animi” e l’ammissione che sia giunto il momento della riconciliazione.

L’irruzione ha causato, purtroppo, quattro vittime. Una donna, veterana dell’Aeronautica che manifestava in favore di Trump, è deceduta in seguito agli spari degli agenti all’interno del Campidoglio. Le altre vittime, secondo quanto riferisce il capo della polizia di Washington Robert Contee, sarebbero morte per “emergenze e complicazioni mediche”.

Nelle ultime ore, intanto, sembra sempre meno concreta l’ipotesi di rimozione presidente uscente in favore del vice Pence, invocando il XXV emendamento della Costituzione. A richiederla sono stati, soprattutto, i capigruppo democratici al Congresso, ma pare che Trump arriverà alla naturale scadenza del mandato, senza colpi di scena. Improbabile anche la scelta della dimissioni, ventilata da una parte della stampa usa. A Washington è stato proclamato la stato d’emergenza fino al 21 gennaio, giorno successivo a quello previsto per l’insediamento ufficiale di Biden. Il bilancio degli scontri, inoltre, racconta di 13 feriti e 52 arrestati.

Alla luce di questi avvenimenti ci si chiede, innanzitutto, come sia stato possibile, per uno sparuto numero di rivoltosi, irrompere – “senza colpo ferire” – all’interno del Campidoglio, cioè in uno dei luoghi teoricamente più protetti degli Stati Uniti d’America. Nell’immediato futuro bisognerà certamente capire come è stato possibile. Si dovrà fare chiarezza, poi, anche sul ruolo e sulle modalità di azione di forze dell’ordine e servizi segreti in questa vicenda.

 

 

I fatti di Washington e le tensioni dei mesi precedenti

 

Quanto avvenuto ieri è, di fatto, senza precedenti negli ultimi due secoli ed è il risultato di un clima teso ed arroventato, ben prima delle elezioni di novembre e del loro contestato esito. I mesi estivi e poi quelli della campagna elettorale sono stati scanditi da scontri, devastazioni, saccheggiamenti e violenze diffuse. Episodi di cui sono resi protagonisti gli elementi più radicali di entrambi fronti, che hanno marciato “l’un contro l’altro armato” in un clima da “tiepida” guerra civile.

La consultazione, poi, ha visto una grande partecipazione popolare e un’America, mai come in questo caso, spaccata in due. Le accuse portate avanti da Trump, è vero, non sono state confermate, ma i vari ricorsi presentati dalla sua squadra di legali sono stati respinti per motivi formali, anche dalla Corte Suprema a maggioranza repubblicana. Le prove, o presunte tali, addotte dal presidente uscente, non sono dunque mai state al vaglio degli organi competenti. Tutto ciò ha contribuito, insieme agli appelli incendiari del tycoon, a fomentare gli animi, a rafforzare la convinzione del torto subito.

 

 

Non solo Usa: la crisi del sistema

 

La degenerazione della legittima protesta, dunque, è stata una grave ma prevedibile conseguenza di quanto avvenuto negli ultimi mesi. Inoltre non si può ignorare il contesto politico, sociale ed economico che fa da sfondo a questi avvenimenti.  I fatti di Washington, probabilmente, rappresentano il fallimento del sogno e del mito americano, della cosiddetta più grande democrazia del mondo. Si tratta, sostanzialmente, di un qualcosa che va al di là delle contingenze attuali, delle divisioni e delle dispute politiche. La sensazione è che, negli Usa come altrove, le istituzioni vengano percepite, ogni giorno di più, sempre più distanti dai cittadini, da coloro i quali sono chiamati a rappresentare. Impossibile, poi, non citare gli sconvolgimenti determinati dal Covid-19, dalla crisi che lo ha seguito, dall’assenza – pressoché ovunque – di risposte certe da parte degli stati.

Quanto avvenuto al Campidoglio, d’altronde, sconvolge il mito bipartisan di sacralità istituzionale che anima da sempre la morale a stelle e strisce. Proprio per questo sarebbe, forse, fin troppo riduttivo vedere in un uomo solo – sicuramente eccesivo, fuori dalle righe, “anti-istituzionale” – l’origine ed il fine di tutto. Fermarsi ad una semplice condanna, non è sufficiente per capire e per interpretare correttamente quanto avvenuto. Servono la lucidità e la maturità per andare oltre, per leggere nel profondo le cause e gli effetti. Il clima che si respira, da ogni parte del globo e soprattutto in Occidente, non è certo dei migliori e, purtroppo, presto gli Stati Uniti potrebbero essere più vicini che mai.

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