Libero che non sei

libero

La logica contemporanea della frase ad effetto e dell’immagine schiava del compendio numerico figlio dell’esposizione mediatica, è ormai un clichè a cui siamo abituati. Non è tanto la qualità del contenuto del contributo che diamo alla società e alla formazione di una opinione pubblica consapevole del vero e del saggio, a farla da padrona, quanto l’ideologia del “purché se ne parli” e del “più polemiche nascono, maggiore sarà la mia audience”. Capello malcurato, occhialino intellettuale e abito da scena in un corpo da vecchio sapiente: impacchettamento perfetto allo scopo. Scoraggia tutti che ad intraprendere questo mistico viaggio verso la recessione culturale e sociale sia chi ha il compito intellettuale di vera e propria guida, di mediatore, di informatore del Paese, nel nostro caso l’Italia tutta. Non è libero chi indossa queste vesti, ha dei vincoli ben delineati. Potremmo aggiungere alla lista politici, esperti e tanti altri soggetti che sul palcoscenico salgono soltanto per la loro comica teatralità priva di contenuti reali. E su questo si deve concentrare l’attenzione e la critica più feroce: ammesso e non concesso che, territorialmente, la nazione possa essere suddivisa a spicchi e che uno di questi spicchi possa presentare delle criticità oggettivamente osservabili, è un ESPRESSO dovere quello di non procurare divisioni e tensioni sociali, a maggior ragione in un momento di profonda crisi totale come quella generata da una pandemia bensì trasmettere messaggi che possano mirare nella eventualità l’abbattimento delle distanze sociali. L’uso di una terminologia corretta, di una articolazione di pensiero che si spera sia possibile trasmettere dal cervello alle corde vocali non è un optional per certi attori della vita pubblica nostrana. Vanno a farsi benedire in questa maniera principi costituzionali, vere e proprie leggi deontologiche, oltre che valori non meramente oggettivi che per la società attuale vengono soltanto in coda a tutto il resto. Effettivamente è un concetto di una tristezza ed un impatto assolutamente tragico e depressivo. L’Italia scelga allora in queste ore, in questa fase cruciale, se deve tornare ai valori o se deve perdere le sue conquiste per dar vita ad una nuova era dei rapporti sociali incastonati nel puzzle che compone la penisola. Inaccettabile richiamare alla coesione sociale e poi concedere spazio a certi pensieri. Non è accettabile, non è ammissibile, non consegna credibilità allo Stato delle cose. Che ordini professionali, tribunali, e vertici dello Stato intervengano contro l’anomia di queste settimane burrascose. O, per chi ha coscienza, si cambi canale, si azzerino i sentimenti di rivolta all’udire certi componimenti e si passi oltre. Questa battaglia si gioca su altri piani, non su quelli della discriminazione territoriale, ma su quelli della ammissione al componimento dell’opinione pubblica di certi soggetti. Si scelga meglio a chi affidarsi per informarsi e farsi una idea. Che gli italiani possano guadagnare in questo senso una esperienza che li induca ad una libertà individuale di pensiero che sappia distanziare ciò che vale l’innesco di una polemica da ciò che merita soltanto indifferenza.

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